venerdì 27 marzo 2009

Tokyo Black Star - Black Ships (Innervisions)


Album di debutto dopo una serie di singoli che li hanno affermati nell'underground per il duo formato da Alex from Tokyo e dal giapponese Isao Kumano.
Il loro campo il loro campo d'azione è un limbo dove si incontra una sensibilità groovistica "cosmic" baldelliana e una saldo retroterra tra house con forti diramazioni deep e Detroit techno.
Circondati da macchine analogiche, i due sono riusciti a far coincidere le loro traiettorie interplanetarie (Alex dalla Francia si era trasfrerito in Giappone ora vive a New York) per produrre "Black Ships".
Dall'utopismo malinconico Motor City dell'inziale Powder Dreams allo strisciante cosmic psichedelico di Violent Rush, dalla vera deep-house Black Star, con Rich Medina alla voce, alla sontuosa Reincarnation, già acclamato singolo, con la progressione lenta e inesorabile e il low-spoken in francese, passando per lo stabby-funk di Still Sequence, le pieghe post-dub di Deep Sea, l'amient kraut & japanese di Kagura, l'Ymo take di Sepiaphone, prende forma un disco ottimo la cui riuscita totale è pregiudicata sollo da qualche ridondanza di troppo.

sabato 14 marzo 2009

Phlash & Friends - Deep Electronic Sounds (Archive)



Phil Asher è quello che si dice una leggenda, colonna dell'house inglese venerato anche in circoli broken-beat per la scena West London di cui è stato alfiere, un soulboy londinese con le stimmate.
Come succede per gli artisti in missione, la maturità che Asher sta vivendo negli ultimi anni non è semplice conferma formale ma decisa e tangibile crescita espressiva.
A dimostrarlo oltre i tanti singoli e remix questo suo nuovo album pubblicato per la meritoria Di Più/Archive di Enrico "Volcov" Crivellaro, un disco rigoglioso, sfaccettato, ricco di soul.
L'iniziale title-track è come una sigla di apertura, carnoso groove old-skool, congas, venature elettroniche, titolo ripetuto in low.
Do It Up squarcia l'orizzonte, un numero deep di una bellezza siderale, ricami ambientali, stacchi armonici, ritmica puntuale e le rifiniture vocali di Om' Mas.
Exaltation era già riuscita come retro di Runnin' ed è quello splendore di violini disco zingari e febbrili rapimenti vocali.
Look At What We've Done è la prima canzone, e i suoi serenti toni che fissano presto in una mantra soul desolato ("look at what we've done/world is no more fun") sembrano l'icona del Paradise Garage ferita ma ancora tremendamente salvifica.
Minefield è un ruggito a sondare fasi deep-dubby e rigonfiamenti techno-soul.
Minotaur ha uno spoken di Rich Medina ed e' un affondo percussivo con portamento jazz piantato lì nel percorso sonoro.
Jungle Orchidz la cantata Alma Horton, impertubabile tra schematici samba beats.
E poi c'è Runnin', già singolo, una delle più belle canzoni intercettate di recente, pigri house beats, electro-funk basseria jazzy post-Azimuth, Shea Soul che apre un inciso profumato e sensuale con Londra impressa a fuoco.
Shea canta anche la più ombrosa Time, e Zansika chiude con Think about It, in una casca finale di note blu.
E pezzi così spendidi sono mandati in orbita da una produzione e da una pasta sonora che superano l'eccellenza, garantiti anche dal mixaggio di Toni Economides, uno degli elementi dei Restless Soul, combo che ruota da sempre attorno a Phil Asher.